Ve la ricordate la blockchain?
Ve la ricordate la blockchain?
Vorrei con voi ripercorrere rapidamente le tappe che ci hanno portato a inneggiare per anni alla tecnologia blockchain per poi ridurci, di recente, a leggere saggi giornalistici che la identificano come una innovazione inutile, per alcuni una soluzione in attesa di un problema.
Sono personalmente molto interessato alla questione lavorando da anni con ADAMANTIC nel mondo degli sviluppi tecnologici per le Aziende, e la Blockchain rappresenta uno dei nostri core business. In questi anni abbiamo maturato in Azienda specifiche competenze tecniche ma, e soprattutto, conosciamo il mercato, le esigenze e le soluzioni oggi adottate.
Ritengo interessante fissare alcuni passaggi di questo viaggio, che secondo me hanno determinato la nostra attuale posizione e possono farci capire ora dove andare. Si tratta dei primi quindici anni della blockchain: stupore, clamore, hype, sperimentazione e disincanto. Come e perché oggi siamo qui? Gli addetti ai lavori sapranno unire i punti su cui soffermeremo l’attenzione, pochi elementi cardine di un percorso in realtà molto articolato, tanto che per quello che mi ha riguardato, ha contribuito a darmi elementi importanti per capire meglio niente meno che il contesto sociale in cui viviamo, chi siamo e chi vorremmo essere. Non male per me!
Indice
2. Da cambiamento a cambiavalute
3. Business e decentralizzazione: grandi opportunità lasciate a metà
4. Conclusioni
Personalmente sono schierato tra quelli che hanno sempre reputato tale paradigma tecnologico utile, anzi di più, rivoluzionario, e lavoro da anni per cercare di impiegare la blockchain in svariati settori industriali e su vecchi e nuovi modelli di business. A valle di tanto lavoro, passione, viaggi, incontri, workshop, eventi, analisi, progetti, formazione e pranzi e cene interessanti, forse oggi abbiamo un po’ tutti identificato i limiti di un fenomeno che ipotizzavamo potenzialmente illimitato; forse invece, a prescindere dall’importanza del carico, abbiamo sempre spinto un carro con le ruote quadrate e non ce ne siamo mai accorti, o forse siamo solo in un periodo di pausa fisiologica e tra sei mesi i giornali riprenderanno con il loro hype sugli NFT; o ancora, forse, non ci abbiamo capito niente!
Era il 2009 quando nella indifferenza mondiale una piccola comunità di miners ha iniziato a scambiarsi dei bit in un network di server allo scopo di “notarizzare” tra pari le consuntivazioni economiche di un loro coin interno, del tutto svincolato dalla valuta a corso legale. Da quel primo periodo i bitcoin hanno cominciato a diffondersi con un fattore esponenziale e già nel corso degli anni successivi “bitcoin” diventa un vocabolo di uso comune. In realtà non tutti sanno realmente cosa significa, ma tutti lo conoscono, ne parlano e ne hanno una propria interpretazione.
Il motivo per il quale questo fenomeno avrebbe dovuto sconvolgere l’intero globo terrestre risiede nella rivoluzione espressa dal white paper di Satoshi Nakamoto, e rappresenta il vero e unico motivo per cui vide la luce il primo bitcoin, ossia il sovvertimento del concetto di “notarizzazione” per come lo conoscevamo. Grazie ad algoritmi (matematica) e grazie ad una architettura inviolabile, è ora possibile scambiare informazioni (e dunque anche transazioni economiche) tra pari, senza bisogno di gerarchie autorizzative. In altre parole tutti i soggetti che compongono il sistema sono pari tra pari, non serve alcuna entità arbitrale che garantisca il processo e non serve alcun attore centralizzato che mantenga lo storico certificato dell’accaduto. Ieri non c’era, oggi c’è!
Nella realtà invece il bitcoin si è diffuso per un altro motivo, se vogliamo meno strategico dal punto di vista sociale e sicuramente di più limitati obiettivi. È successo che qualcuno ha notato che volendo “comprare” un bitcoin, (cosa assurda considerando che questo sistema è nato proprio in alternativa alla rigida gerarchia che governa la valuta fiat, ossia la valuta a corso legale), il prezzo in dollari non faceva che aumentare nel tempo. In altre parole volendo dare un valore economico a questo asset digitale chiamato bitcoin, tale valore non ha fatto che crescere nel corso degli anni. Il bitcoin è quindi diventato “famoso” perché rappresentava (e ancora rappresenta) un asset finanziario su cui investire denaro per ricavarne plusvalore finanziario in dollari. Questo è stato il passaparola che ha reso celebre il nuovo asset finanziario digitale. E’ chiaro quindi che alla grande massa di persone che ha cominciato a conoscere il bitcoin per questa sua caratteristica non è mai interessato più di tanto cosa fosse realmente, soprattutto nessuno ha mai veramente avuto interesse (né tantomeno le nozioni tecniche o teoriche) per valutare quale occasione poteva rappresentare per la società il concetto del peer to peer applicato alla finanza. Questi concetti sono rimasti segregati all’interno di esigue fazioni “talebane”, poco e male “armate”.
Tanto è vero che di fatto l’intero sistema ideato da Satoshi per rovesciare il circuito di pagamento da centralizzato a decentralizzato (nessuna necessità di un garante centrale), è stato a sua volta rovesciato dal suo utilizzo comune, ponendo di fatto in poche mani, gerarchicamente autorizzate, gli strumenti di gestione ed impiego del sistema bitcoin. In questo modo non è cambiato nulla rispetto al sistema di pagamenti tradizionale: continuiamo a fare le cose come le sappiamo fare e come le abbiamo sempre fatte. Questo comportamento sociale è del tutto prevedibile e rappresenta il primo classico approccio ad ogni innovazione, cercare di utilizzarla per fare le cose come già sappiamo farle. La differenza con altre innovazioni è che una architettura blockchain ha senso solo nel caso venga utilizzata per cambiare il modo di fare le cose.
Sono quindi nati negli anni immediatamente successivi al debutto in società del bitcoin, dei “governi centrali” di cambio tra la valuta fiat e la criptovaluta (e viceversa), soggetti autorizzati che consentono di comprare e vendere bitcoin attraverso l’associazione ad un conto corrente bancario tradizionale. Gli exchange centralizzati, o cambiavalute crypto, hanno di fatto lo scopo di governare e rendere disponibile agli utenti l’utilizzo dei wallet bitcoin (e non solo bitcoin). Contestualmente a questa opportunità finanziaria sono nate svariate startup in tutto il mondo dedicate al tema dei pagamenti con tecnologie incentrate sui wallet, sui token fungibili (crypto), sui token non fungibili, e sono nate dapprima le iniziative di initial coin offering (ICO) e poi delle STO (security token offering), e via via l’hype è cresciuto sul tema portante di base: questa tecnologia rappresenta uno strumento per fare soldi!
Fermi tutti un secondo, di quali soldi stiamo parlando? Il bitcoin non è “soldi”?
Proprio a questo punto è nato il primo fraintendimento sociale, “il bitcoin non è soldi”, ma solo un asset su cui investire al fine di venderlo quando è fruttifero e farne soldi veri, in euro, dollari o sterline. Nessuno potrà mai chiedere a Satoshi cosa veramente intendeva fare con il bitcoin, ma se posso esprimere il mio parere non voleva creare un nuovo asset finanziario da dare in pasto al trading internazionale!
Torniamo solo un po’ indietro: la blockchain è nata per garantire scambio di informazioni (in particolare informazioni di tipo economico per quanto riguarda il bitcoin) in una innovativa modalità che consente inviolabilità dei dati storici e trasparenza assoluta (matematica) sulle singole transazioni, (e fino a qui non ci sono novità rispetto a ciò che possiamo fare grazie al tradizionale circuito bancario), ma senza la necessità di avere fiducia in un soggetto garante! Questo è l’enorme valore aggiunto, la matematica si fa garante per tutti in un contesto di pari tra pari. Come siamo arrivati a sminuire il bitcoin ad un semplice asset finanziario utile solo ad arricchire i portafogli in valuta fiat degli investitori tradizionali? Con tanta poca fantasia e tanta tanta frenesia finanziaria. Negli anni dal 2016 al 2021 ogni progetto innovativo che avesse dentro un token blockchain diventava subito un oceano blu per gli investitori, il token avrebbe rappresentato l’asset su cui qualunque iniziativa progettuale poteva misurare la propria crescita, investire oggi nei token di una nuova startup poteva significare ritrovarsi criptovaluta che tre anni dopo poteva essere venduta per ricavarne ennemila volte il suo valore in euro/dollari originale! Vuoi perderti di nuovo l’occasione di investire in bitcoin? E’ stato molto semplice perdere di vista il messaggio originario e correre a comprare questa o quella crypto attenzionando il mercato come un trader professionista (sic!), gioco incentivato da nuovi strumenti digitali e finanziari appositamente realizzati per questo nuovo settore di mercato in crescita. Le stesse banche hanno cominciato a capire che in fondo la blockchain era solo un nuovo strumento con cui fare soldi, in questi termini non poteva certo rappresentare una minaccia al sistema. Vanno fatte però delle precisazioni, poiché anche la vera blockchain decentralizzata ha provato qualche cartuccia, mi riferisco alle moltissime DAO che hanno visto la luce in questi anni ed ai pochi veri progetti di business decentralizzato, come anche agli exchange decentralizzati, ma la maggior parte di queste iniziative (se non tutte) sono state indirizzate a creare finanza in valuta fiat attraverso questo o quel token fungibile (crypto) ed il suo apprezzamento previsto nel tempo. In ogni caso i veri contesti decentralizzati ancora oggi non godono di un completo riconoscimento legale da parte delle istituzioni nazionali, quindi di fatto non sono facilmente realizzabili o non lo sono affatto.
In definitiva osserviamo che quanto sopra ha portato il nuovo mercato chiamato fintech alla materializzazione di organismi di controllo e gestione delle crypto sempre più centralizzati, che hanno continuato a detenere le vere chiavi di accesso ai token. L’utente medio ha oggi i suoi wallet presso exchange accreditati, sicuri e degni di fiducia (sic!), ignaro spesso del fatto che la gestione della sua crypto non ha di fatto necessità di avere fiducia in nessuno. E infatti non sono stati rari i casi in cui tali organismi centralizzati abbiano approfittato del proprio ruolo per frodare gli utenti, quando non per derubarli di tutto. Ricordiamoci ora che le crypto (il bitcoin in particolare) sono nate proprio per evitare questi eventi nefasti, garantendo matematicamente gli utenti da ogni tipo di frode sui propri wallet, ma questo se venissero usate come da white paper di Satoshi! Usare realmente la blockchain impone a tutti di uscire dalla propria zona di comfort: in primis allo stesso utente, il quale viene costretto ad assumersi la responsabilità di ciò che fa senza rete di salvataggio, e nessuno oggi è disposto a farlo. Non disporre di un ente centrale che si faccia garante del mio conto corrente (ruolo che oggi delego alla mia Banca) mi fa responsabile diretto del mio conto e garante, ad esempio, delle credenziali di accesso. Quanti utenti oggi sarebbero disposti a perdere il servizio di rinnovo password smarrita sul proprio home banking? E ancora quanti problemi potrebbe arrecare la disattenzione di un utente (o di una Azienda) con cui sono in affari che perde tutto il suo patrimonio in token per semplice negligenza? Se parliamo di conti correnti, ma potremmo estendere il discorso a molti altri settori, nessuno di noi oggi può dirsi abbastanza “maturo” per assumersi le sue piene responsabilità di correntista nei confronti della Società civile. O almeno per come questa è impostata oggi.
Lo stravolgimento operato nel settore fintech, ossia il portare un sistema dall’essere decentralizzato come valore di svolta rispetto al pregresso, all’essere un sistema centralizzato in cui pochi hanno accesso alla gestione e controllo, è stato interpretato anche nel comparto business. Negli anni successivi al primo consolidamento tecnologico della blockchain su bitcoin, hanno cominciato a svilupparsi varie piattaforme decentralizzate e pubbliche su cui era possibile transare dati afferenti a contesti diversi dalle “valute”. Il campo da gioco diventava globale, non più solo coin da scambiarsi senza la necessità di una banca come garante, ma ora anche documenti notarizzati senza la necessità di un notaio, atti di proprietà immobiliare senza un Ufficio del Catasto, diritti di proprietà intellettuale senza un garante dei diritti internazionale, compravendita di beni di lusso senza un esperto di anticontraffazione, etc. Un mondo un po’ più sano? Forse, ma comunque non il nostro mondo. Il nostro mondo oggi può solo sfruttare questi temi per vendere le briciole di un mondo migliore, mantenendo sempre un fondamentale pilastro centrale a cui agganciare tutto. Ricordiamo agli esperti che siamo sempre in attesa delle famose linee guida AGID sulla blockchain (anche perché ormai i novanta giorni entro i quali AGID avrebbe dovuto esprimersi sono passati da circa quattro anni…), ma ricordiamo anche che molti di noi hanno venduto progetti centralizzati con un contorno marketing di blockchain. Vuoi che il cliente voleva così, vuoi che la PA non poteva fare diversamente, vuoi che ancora la fiat ci serve per campare, rimane sul piatto che oggi le iniziative di business realmente decentralizzate (e ne conosciamo alcune per averle realizzate noi), si confondono in un mare di iniziative marketing e di hype, spinto anche dai grandi brand, per cui risultano di fatto indistinguibili. Anche qui, come per il fintech, la sfida è trovare dove la blockchain ha potuto realmente esprimersi con il suo vero potenziale! Anche qui va capito fino a quale limite la Società civile è disposta a rivedere il suo modo di fare le cose (l’attuale zona di confort) per evolvere il modello.
Una declinazione interessante di questa sfida, se decidiamo di raccoglierla, potrebbe essere l’opportunità per le nostre istituzioni (l’Europa più che i singoli Stati nazionali) di istituire un network blockchain, forse meglio un DLT, su cui attestare nodi di Pubblica Amministrazione (Istituzioni Nazionali degli Stati membri ma anche Amministrazioni Locali, Comuni, Ospedali, Università, Uffici Pubblici, Musei, Associazioni, rappresentative di categoria e ogni altro Ente volesse partecipare) aprendo anche la possibilità di attestare nodi privati (Aziende, Associazioni private, Industria, l’intero settore accademico privato) e fino a consentire magari l’attestazione di nodi da parte dei singoli cittadini. Questo darebbe la effettiva possibilità di utilizzare un network di nodi nei fatti pubblico e su cui realmente il cittadino sia alla pari con le Istituzioni, abilitando nel tempo varie procedure ed automatismi (smart contract) a vantaggio dei tempi (contrasto alla burocrazia) e della trasparenza (inviolabilità e autocertificazione). Nel tempo questo potrebbe diventare lo strumento su cui mettere a terra tutti i progetti di business, pubblici e privati e forse, magari, anche un contesto per sviluppare l’Euro digitale in forma di token, anche se questo deve prima passare per tempistiche congruenti con una grossa rivoluzione a livello bancario tradizionale. Questa infrastruttura decentralizzata oggi non esiste, ma la sua fattibilità, sperimentazione e realizzazione concreta rientrano nelle prospettive della Commissione Europea. Sono già stati identificati anche alcuni cardini funzionali su cui instradarla, il più interessante tra i progetti dichiarati da EBSI (European Blockchain Services Infrastructure) è senza dubbio il “self sovereign identity” ossia la possibilità per il cittadino di auto-certificarsi e gestire in autonomia i propri dati anagrafici ma anche medici, accademici, curricolari etc. senza fare necessariamente riferimento a enti terzi istituzionali che certifichino identità, storico ed azioni. Ma per ora questa o altre possibilità di impiego sono ancora in cantiere e non se ne conoscono tempi né stato dell’arte.
E siamo arrivati, qui, oggi, a leggere che in quindici anni questa innovativa tecnologia blockchain non ha saputo trovare un campo di applicazione in cui risulti utile, anzi è uno strumento tramite cui è possibile truffare, rubare, arricchirsi alle spalle di malcapitati utenti. Su questi punti inviterei, con modestia, quei giornalisti che oggi esprimono tali resoconti e pareri, a documentarsi un po’ sulle origini e sui veri obiettivi sociali di questa che chiamano nuova tecnologia blockchain, che poi non è una singola tecnologia ma un insieme di “cose”, e nemmeno tanto nuove prese singolarmente. Approfondire meglio il contesto ci porta a valutare che la vera innovazione che c’è dietro non è tecnologica, ma sociale, e la Società non è ancora matura (come non è di fatto ancora matura nemmeno la Blockchain). Questo ha portato a non mettere a terra nulla, o quasi, del potenziale promesso da questa innovazione, e pertanto ad oggi l’unica cosa che siamo in grado di valutare è la nostra reazione al cambiamento. E questa valutazione ci porta come risultato non certo che la blockchain sia inutile, in effetti nemmeno che essa rappresenti sicuramente una rivoluzione per la quale servirà solo molto più tempo (anche se questo è il mio personale parere), ma sicuramente che rappresenta uno strumento tramite il quale metterci alla prova per migliorare le cose che facciamo cominciando col mettere in discussione il come le facciamo.
Cercando di trarre le conclusioni a questo punto del viaggio ritengo, per quanto sopra, che questo viaggio sia solo agli inizi. Riflettendo su quanto è accaduto e sta accadendo e sulla situazione in cui siamo ora, mi viene da pensare che tutti noi, io per primo, ci stiamo limitando a giocherellare nei soliti modi che conosciamo con uno strumento (non un gioco) potentissimo che potrebbe invece risolvere molte delle criticità in cui tutti noi ci troviamo a vivere ogni giorno e che in futuro potrà fare cose che ancora non siamo nemmeno in grado di immaginare. Rimanendo nel solco del bitcoin, tanto per evidenziare quanto ancora siamo lontani da un utilizzo proficuo della blockchain, possiamo cominciare a riflettere su una necessaria presa di coscienza: il coin – token fungibile blockchain – ha il potenziale per rappresentare uno strumento matematico non controllato centralmente e utile per valutare asset essenziali per la nostra vita, in contrasto con il denaro, valuta a corso legale e governata centralmente, che è già da tempo diventato esso stesso un asset in vendita sul mercato, non un semplice strumento, rappresentando anzi l’unico asset essenziale su cui oggi ruota tutta la nostra vita!
“Il più grande spreco al mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.“
(Ben Herbster)
Pierpaolo Foderà – CEO ADAMANTIC